« Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. »

martedì 26 maggio 2015

Giovanni Boccaccio in 2G

Giovanni Boccaccio, nato nel 1313 a Certaldo in Toscana, può ben essere considerato il padre della prosa volgare italiana e, insieme a Petrarca e a Dante, il più importante scrittore del XIV secolo sia in Italia che in Europa.
 Dopo i primi studi a Firenze, nel 1327 si trasferisce a Napoli dove si dedica ai classici latini e alla letteratura italiana e francese e proprio qui vedono la luce le sue prime opere: Filocolo, Filostrato, Teseida, Caccia di Diana e Rime.
Durante i successivi soggiorni a Firenze e nelle corti di Romagna compone oltre al Ninfale fiesolano e ad altre opere minori, la sua opera capitale: il Decameron, terminato nel 1351. E’ in questi anni che stringe amicizia con il “glorioso maestro”, Petrarca, e si dedica allo studio dell’opera dantesca.
Viene a mancare nel dicembre 1375.


Come ben emerge leggendo il Decameron, Boccaccio sa esprimersi attraverso una considerevole varietà di toni e di stili in virtù del suo sperimentalismo. L’autore si dimostra inoltre ben attento a tutta la realtà, pronto a rappresentarla integralmente, da osservatore imparziale, nei suoi aspetti molteplici e talora contrastanti: una realtà in continuo mutamento.
L’uomo, con le sue qualità e i suoi vizi, è il protagonista unico di vicende dove agiscono tre motivi o molle fondamentali: Fortuna, Amore e Intelligenza, presentate in tutta una ricca gamma di possibili sfumature.
C'è da dire che Boccaccio impone nel Decameron una poetica realistica che comporta, oltre al citato pluristilismo, precisione di dettagli, descrizioni circostanziate, riferimenti “storici” a luoghi o persone reali. C’è assenza di questioni religiose, morali e politiche, e si individua nel naturalismo e nella rappresentazione realistica del mondo dei sensi il suo motivo ispiratore.
L’amore, uno dei temi principali del Decameron, è visto come un istinto irrefrenabile, come legge naturale: la concezione laica presente è ben distante da quella della produzione boccacciana precedente. L’opera è destinata a fornire diletto e insieme consigli pratici di comportamento alle donne innamorate e, quanto ai contenuti, esprime l’intenzione di narrare “novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti”. 


Chichibio e la gru
Introduzione

Chicibio è la quarta novella della sesta giornata del Decameron​, "sotto il reggimento" di Elissa. Tema principale della novella è nuovamente la Fortuna, i cui effetti devono essere colti al volo chi è dotato della virtù dell'intelligenza. Per i personaggi boccacciani (e per la visione del mondo dell'autore che si cela dietro di loro) il "motto di spirito" è una pratica per regolare i rapporti interpersonali, mettendo in luce arguzia e prontezza nel piegare a proprio vantaggio delle circostanze difficili. Così, una battuta pronta ed efficace può mettere sullo stesso piano (come si vede anche nella novella di Cisti fornaio) figure appartenenti a livelli diversi della scala sociale: chi è più potente non potrà non riconoscere l'intelligenza che si trova anche nelle persone più umili.

La scelta della tematica della sesta giornata condiziona così anche la struttura di queste novelle, spesso attinte dall'aneddotica della città di Firenze (cioè da un insieme di racconti breve emblematici di una figura o di un ambiente). Le novelle sono spesso particolarmente brevi, come per concentrare l'effetto comico e l'attesa del lettore sul finale, dove compare la battuta di spirito e dove si assiste tradizionalmente alla ricompensa del protagonista principale.

Riassunto
La trama è la seguente: durante una battuta di caccia, Currado Gianfigliazzi, nobile e cavaliere, proveniente da una famiglia di banchieri, trova e uccide una gru, che invia al suo cuoco, Chichibio. Il cuoco cucina a perfezione il volatile. Giunge Brunetta, la ragazza di cui è innamorato Chichibio, che gli domanda una coscia della gru. Il cuoco inizialmente rifiuta, ma, stuzzicato e provocato dalla donna, alla fine cede e le dona una coscia.

Chichibio serve poi la gru a Currado e ai suoi ospiti. Non appena vede la zampa mancante, il nobile chiede spiegazioni al cuoco, che risponde che le gru hanno una sola zampa. Il nobile, irritato dalla menzogna di Chichibio, lo sfida: il giorno successivo sarebbero andati a vedere al lago per verificare l'esattezza di questa affermazione. Una volta giunti lì, i due uomini scorgono diverse gru su una zampa sola, cioè nella posizione in cui questi uccelli sono soliti dormire. Currado quindi, gridando “oh, oh”, corre verso gli uccelli, che spaventati volano via, tirando fuori anche la seconda zampa. Currado allora chiede a Chichibio: “Che ti par, ghiottone? Parti ch’elle n’abbian due?”. Il cuoco risponde con notevole prontezza:
Messer sì, ma voi non gridaste - ho ho - a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l'altra coscia e l'altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste.
L'intelligente risposta di Chichibio fa ridere il nobile Currado, che quindi perdona il cuoco per la sottrazione della coscia di gru.


L'abilità verbale dei personaggi di Boccaccio

Questa breve novella è basata sul motto di spirito finale con cui Chichibio, uomo di condizioni umili, riesce a placare l’ira del padrone e a evitarne la punizione. Ancora una volta uno dei temi principali è proprio l’arguzia di personaggi di estrazione sociale bassa che riescono a comportarsi alla pari con i nobili, grazie alla loro furbizia ed abilità verbale. È evidente che si tratta di una parificazione fittizia: il divario sociale, infatti, non viene colmato, ma solo posto da parte dalla battuta del protagonista. In Chichibio, la caratterizzazione del protagonista non si appoggia però solo sulla sua inventiva e sulla sua capacità di comporre "alcun leggiadro motto" per cavarsi d'impiccio; Chichibio, veneziano d'origine, si esprime spesso nel suo dialetto d'origine, come quando risponde a Brunetta che gli chiede la coscia della gru:
“Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi”.

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