« Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. »

martedì 9 aprile 2013

Il testo regolativo- Le nostre ricette

GIUSEPPE ODDO 2 I
CASSATELLE SICILIANE

1 kg di ricotta di pecora
700 grammi di zucchero
100 grammi di cioccolato fondente a gocce
100 grammi di capello d'angelo o zuccata
Una buccia grattuggiata di limone

Amalgamare la ricotta di pecora, aggiungere lo zucchero e cioccolato fondente a gocce.Fare riposare un pò il composto e poi aggiungere il capello d'angelo o in caso di mancanza la zuccata.Infine aggiungere una buccia di limone grattuggiata e mettere in frigo.
 

MATTEO LISCIANDRO 2i
ANELLETTI AL FORNO ALLA PALERMITANA
  • Ingredienti 
  • 500 gr di anelletti
  • 250 gr di manzo macinato (tritato)
  • 200 gr di concentrato di pomodoro
  • 100 gr di carne di maiale tritata
  • 200 gr di caciocavallo grattugiato
  • 1 cipolla media
  • 300 gr di piselli
  • 1 bicchiere di vino rosso
  • 100 gr di primosale
  • 100 gr di pangrattato
  • olio extra vergine di oliva
  • pepe nero e sale q.b.

Preparazione

Tritare finemente con un coltello la cipolla.
In una pentola a bordi alti piuttosto capiente, poichè dovrà contenere tutti i nostri ingredienti, versare l’olio e appena sarà diventato ben caldo versare la cipolla e soffriggere. Appena la cipolla sarà imbiondita aggiungere la carne di manzo tritata e quella di maiale. Fare attenzione che rosoli ben bene e che si colorisca, poi versare il vino e far evaporare. Far soffriggere per un paio di minuti rimescolando con un cucchiaio di legno a questo punto aggiungere i piselli e, poco dopo, il pomodoro concentrato e circa quattro bicchieri di acqua bollente (mezzo litro circa). Salare, pepare e lasciare cuocere a fuoco basso per almeno mezz’oretta. Se il sugo dovesse apparire ancora troppo denso aggiungere ancora acqua al fine di consentire la cottura. Quando la cottura sarà quasi ultimata ed il sugo ristretto (non deve essere nè denso nè troppo liquido) in una pentola portare l’acqua per cuocere la pasta ad ebollizione, poi versare gli anelletti ed attendere il tempo di cottura. Scolare la pasta al dente e condire solo con il sugo preparato. Spolverizzate gli anelletti con il caciocavallo grattugiato. Preparare una teglia, ungerla d’olio e spolverizzarla di pangrattato versare una metà degli anelletti, aggiustarli sul fondo della teglia con un cucchiaio di legno. Disporre delle fette di primosale e poi versare sopra i restanti anelletti. Coprire con pangrattato (strato sottile) un filino d’olio e passare in forno preriscaldato per circa 20 minuti.
Questo piatto è tipico della zona del palermitano viene preparato spesso in special modo nei giorni di festa, quelli in cui si riunisce la famiglia.


GIUSEPPE GALATI - 2I

ARANCINE


Da “Palermo è… “ di Gaetano Basile:
L’arancina esprime il massimo della civiltà della nostra isola: pensare a portarsi dietro qualcosa di cotto da casa proprio quando dal focolare domestico si è lontani, attiene ai puri piaceri dello spirito. Si racconta che fu l’emiro Ibn At Timnah ad inventare il “timballo di riso” o di pasta; pare che se lo portasse appresso quando andava a caccia. Una trovata geniale: il riso profumato di zafferano e teneri piselli, con tanti pezzetti di carne, fu manipolato in modo da farne una palla grossa quanto un’arancia che, impanata e fritta, resisteva superbamente al trasporto.
Pare che il risotto alla milanese altro non fosse che un’arancina che non riuscì a prendere la giusta forma per la differente qualità del riso lombardo e così, finì disfatta su un piatto, diventando un semplice risotto. Forse una
malignità tutta palermitana!
Ingredienti:
1,300 kg di riso superfino arboreo Con queste dosi si ottengono circa venti arancine
Tre litri circa di brodo di carne o vegetale
1 cipolla
100 grammi di burro
2 bustine di zafferano
250 grammi parmigiano grattugiato
200 grammi di primosale a cubetti
Olio di semi di mais per friggere
Pangrattato abbondante
Per il ragù di carne:
400 grammi tritato di carne di manzo
1 cipolla
100 grammi concentrato di pomodoro
50 grammi di parmigiano grattugiato
2 foglie di alloro
2 chiodi di garofano
200 grammi di piselli freschi
Olio extra vergine d’olive
½ bicchiere di vino bianco
Sale e pepe q.b.
Preparare il risotto circa dodici ore prima di realizzare le arancine (deve essere freddo, perché per la buona riuscita delle arancine l’impasto deve essere abbastanza duro e appiccicoso).
Preparare il brodo nel quale scioglieremo lo zafferano.
In un tegame capiente, fare appassire la cipolla tagliata finemente (non deve imbiondire), aggiungere il riso e farlo tostare quindi, sempre mescolando,
aggiungere il brodo, ben caldo, poco per volta e portare il riso a cottura, scendere dal fuoco e amalgamarvi il parmigiano grattugiato ed il burro. Fare
mantecare per qualche minuto, quindi versarlo in un piatto grande e farlo raffreddare.
Prepariamo il ragù:
Soffriggere in un tegame la cipolla con l’olio. Aggiungere il tritato farlo rosolare a fuoco vivace, facendo attenzione a sgranarlo bene con un cucchiaio
di legno, quindi sfumare con il vino. Unire sale, pepe, alloro, chiodo di garofano e il concentrato sciolto in poca acqua (il ragù, alla fine deve
risultare denso, quasi asciutto) e, a cottura ultimata, il parmigiano.
Cuocere i piselli (se usiamo quelli surgelati, li scongeliamo in acqua salta bollente con 1 foglia di alloro e un pizzico di zucchero), scolarli e unirli al ragù freddo.

Confezioniamo le arancine:
Prendere una cucchiaiata di riso e metterla sul palmo della mano in modo da formare un incavo dove metteremo un cucchiaio di ragù e, al centro, un cubetto
di primosale. Prendere un’altra cucchiaiata di riso e ricoprire molto bene il ragù, facendo attenzione a non farlo fuoriuscire. Formare l’arancina stringendo
questo composto con le mani in modo da compattarlo. Passare a pangrattato sempre compattando l’arancina e mettere da parte. Procedere fin quando si
esauriscono gli ingredienti.
In abbondante olio bollente friggere le arancine fin quando non saranno ben dorate (il risultato migliore si ottiene con una friggitrice).

Variante:
L’arancina tradizionale l’abbiamo appena descritta, ma un ottima variante è quella, che dalle nostre parti, chiamiamo al burro e che in questo caso assume la forma allungata (simile a una pera) per distinguerla da quella ripiena di
carne.
Per prepararla il procedimento è identico, cambia soltanto il ripieno che viene realizzato amalgamando i seguenti ingredienti:
500 grammi di mozzarella tagliata a cubetti 300 grammi di prosciutto cotto tagliato a pezzetti 30 grammi di parmigiano grattugiato 100 grammi di burro.



CHRISTIAN CASTELLI - 2 I
PANE CON LE PANELLE
’U pani chi Panelli e cazzilli (il pane con le panelle e crocchette di patate). È uno dei più classici e antichi esempi del mangiare di strada dei Palermitani. In Sicilia, ma in particolare a Palermo, questo semplice e prelibato panino imbottito lo possiamo trovare facilmente, in ogni angolo di strada, nelle friggitorie(panellari). C’è da considerare che quelli da noi chiamiati semplicemente “panellari”, sono i veri precursori  dei moderni fast food; soltanto che, permettetemi di dirlo, un panino con la salsiccia non è assolutamente paragonabile né col “pane e panelle”, né tanto meno con le bontà che una friggitoria Siciliana è capace di offrire (piccoli pesci, melanzane, carciofi, broccoletti e chi più ne ha più ne metta!).
Le panelle sono delle frittelle realizzate con farina di ceci. “I cazzili” invece, come detto, sono polpette di patate. Queste ultime vengono comunemente chiamate crocchè (da crocchette), ma al palermitano piace, tuttavia, chiamarle “cazzilli” per esprimere in maniera grossolana  la crocchè. Comunque li chiamiamo, quest’accoppiata gustata ancora fumante assieme ad un panino (che può essere la mafalda o mafaldina, o la muffoletta, ma comunque pane bianco) è un formidabile pasto completo e, soprattutto, economico.
I miei ricordi sul pane e panelle, legati soprattutto all’infanzia, coincidono alla  perfezione con le “filosofie di pensiero” espresse da Daniele Billiteri nel suo libro “In Sicilia in Cucina: gastronomia da marciapiede”:
In principio era il pane e panelle. Simbiosi poi tristemente spezzata dall’avvento dei tempi moderni quando la panella cominciò a circolare da sola, trasferita a viva forza dai luoghi di produzione alle case ormai piccolo borghesi dei palermitani. Ma all’inizio la regola era: mai panelle senza pane. E l’incontro doveva avvenire nei luoghi deputati, cioè il panellaro, al cui cospetto prevalentemente si svolgeva il rito del consumo. Palermo ne era piena: posti fissi, solidi muri, antri un po’ bui, odore di olio rifritto e di cereali bolliti. I carrettini, le “lape” (moto Ape Piaggio), i panellari vaganti appartengono a tempi più recenti.
La panelleria si giudicava con il parametro della pulizia. Era “l’affaccio”(la bella disposizione dei prodotti) che contava. Sul piano inclinato forato, che funzionava come gocciolatoio dell’olio superfluo, il panellaro riversava le panelle ancora gonfie di vapore, segno di recentissima frittura,  poi riempiva le pagnotte o i mezzi pani (preferibilmente mafalde – tipica forma di pane palermitano) e poi serviva. Per accompagnare la pietanza, in ghiacciaia c’erano le gassose Partanna (famosa, ma non più esistente, fabbrica di bevande) nelle due varianti: normale e al caffè.
Il lavoro del panellaro cominciava il mattino presto e certe volte nel pomeriggio precedente. Cuoceva la farina di ceci come la polenta, un continuo rimestare con un paiolo da zattera, nel suo antro buio davanti alla pentola fumante, magari su un fuoco a legna…. Poi metteva a raffreddare l’impasto coperto con una mappina (strofinaccio) e solo quando diventava maneggiabile, per il calore non eccessivo, cominciava a lavorare le panelle; ma non bisognava perdere l’attimo fuggente, perché se si aspettava troppo, l’impasto induriva e diventava buono, tuttalpiù,  per una mesta produzione di rascature (è la rimanenza della farina di ceci cotta indurita, non più spalmabile), roba da morti di fame,l’articolo più infimo e il meno costoso di tutta la panelleria, da chiedere sottovoce, giusto per perversione alimentare.
I panellari più conosciuti e amati dai palermitani usavano delle formelle di legno levigato di forma rettangolare con incisi in rilievo ameni motivi floreali. Sulle formelle veniva spalmato l’impasto che, indurito, dava luogo alla panella cruda. Il motivo floreale non era un semplice amore per l’arte, bensì un segno di riconoscimento perchè il disegno si riconosce solo sulla panella fritta da poco, poi si perde. Mettiamo che un infedele accarezzi il diabolico progetto di riciclare panelle già fritte “rivitalizzandole” in un bagno d’olio bollente: ecco, in quel caso addio disegno e scoperto l’inganno. Insomma il motivo floreale era una specie di marchio per la panella doc…….
……..Le panelle si chiamavano piscipanelli assicura Pitrè, e furono il surrogato di una irraggiungibile frittura di pesce troppo cara per le tasche dei nostri avi, si vendevano dai primi di dicembre fino a Natale con il picco più alto per Santa Lucia, naturalmente. Poi finirono col diventare colazione o cena, spesso l’unico pasto quotidiano dei poveracci.
Ingredienti per le panelle
500 grammi di farina di ceci
1,5 litri circa di acqua
Sale e pepe q.b
Un ciuffo di prezzemolo tritato
Olio di semi per friggere.
Preparazione
Far sciogliere, a freddo, la farina di ceci nell’acqua,con il sale e il pepe, facendo molta attenzione che non si formino grumi. Cuocere a fuoco basso, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno (bisogna fare attenzione a non farla attaccare al fondo della pentola), fin quando otterremo una crema piuttosto morbida ma ben compatta. Prima di fine cottura, continuando a mescolare, aggiungere il prezzemolo tritato
A questo punto spalmare l’impasto ottenuto su delle apposite formine di legno. Io lo spalmo, ad uno spessore di 2-3 mm., su dei piatti piani (vanno bene anche piattini da caffè). Fare raffreddare e, se abbiamo usato i piati piani, tagliarle in quattro. Scollare le panelle molto delicatamente dai piatti, adagiarle in un altro piatto (si possono anche sovrapporre) e friggerle (possibilmente in friggitrice) in abbondante olio bollente. In pochi minuti saranno imbiondite e le metteremo su carta assorbente da cucina. Vanno mangiate calde con appositi panini (“mafalde”, “mafaldine”, ecc.), ma in mancanza va bene qualsiasi pane bianco.Ingredienti per le crocchette di patate (“cazzilli”)
1 chilo di patate vecchie
Sale e pepe q.b.
Qualche cucchiaIo di maizena
Un ciuffo di prezzemolo
Olio di semi per friggere
Preparazione
Bollire le patate, pelarle e setacciarle con un normale schoacciapatate. Aggiungere sale e pepe,  il prezzemolo tritato e qualche cucchiaio abbondante di maizena.  Amalgamare bene e formare delle piccole crocchette ovali. Friggerle in abbondante olio caldo.
È giusto dire che la riuscita della frittura delle crocchè è strettamente legata a dei fattori come, ad esempio, la qualità delle patate e il calore dell’olio. Nella Sicilia orientale, per evitare inconvenienti, usano passare le crocchette negli albumi sbattuti, poi al pangrattato e quindi le friggono
 


1 commento:

Anonimo ha detto...
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