I cento passi è film che parla di mafia, ma è anche molto, molto di più. Il
cinema italiano, che tanto avrebbe da narrare su questo anti-mondo, raramente
si è spinto ai livelli di quest’opera che è degno seguito, per la
sua notevole intensità e per la dedizione e la libertà con cui sa trattare
questo tema. Manca infatti totalmente a questo bel film quell’aria da mito
negativo che talvolta si dà alle figure dei mafiosi, manca la ricchezza dei mafiosi (il
boss Tano Badalamenti è rappresentato per ciò che è stato: un vaccaro) ed
emerge invece il ritratto di persone comuni che molto possono creando attorno
a sé un clima misto di presunto "onore" e vero terrore. Ma soprattutto questo
film è in grado raccontare con giusto ritmo una storia vera, la vera vicenda di un giovane ai più sconosciuto, Giuseppe Impastato, che ha vissuto gli anni della contestazione contestando un nemico
temibilissimo, la mafia, vivendogli accanto (a Cinisi, a cento passi dalla casa di Badalamenti ed essendo egli stesso figlio di un mafioso, di una pedina della mafia) e morendo per mano della stessa, benchè per lunghi anni si sia cercato di far passare la sua morte (sventrato da una esplosione di tritolo) per un suicidio forse accidentale. Il film ha dunque il pregio di dare un
minimo di notorietà ad Impastato e lo fa privando d’ogni traccia di retorica i
suoi discorsi, illustrando lucidamente la sua intelligenza, mostrando con
quanta capacità riuscì a creare un gruppo culturale e come capì l’importanza
dei mezzi di comunicazione (la sua arma fu infatti una radio, Radio Aut) e la
forza dell’ironia più pungente, utilizzata contro i mafiosi dei quali citava
senza remore nomi e misfatti schernendoli con valanghe di sagace e –
naturalmente, soprattutto quando si dice la verità – offensiva ironia.
Quest’opera non fa minimamente rimpiangere i film di denuncia del passato,
proprio perché, oltre alla denuncia, rappresenta un personaggio a tutto tondo, ne
illustra i motivi di crescita culturale, la tenacia, la sofferenza, il dolore
e le convinzioni e soprattutto evita, come s’è detto, di porre la mafia su un
piedistallo: essa è al nostro stesso livello ed è ciò a renderla difficile e
pericolosa. Questo Impastato l’aveva capito e forse per questo non con grandi
parole, ma con lo sberleffo vi si è opposto. Tutto ciò è ottimamente
delineato e il film acquista un ottimo ritmo, evitando di spiegare ciò che non è più di
tanto spiegabile (la morte del padre di Giuseppe Impastato), costruendo
perfettamente e per gradi la psicologia di tutti i personaggi (non solo
quella di Giuseppe, ma anche quella combattuta del padre, in lotta tra
l’accettazione e il rifiuto di un figlio, quella della madre, donna straziata
ma indefessa, quella del fratello, fragile ma sempre accanto a Giuseppe) e
rendendo senza eccessi un’epoca a rischio di retorica.
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